28 febbraio, 2017

La traduzione è UX

Costanza Albè

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Lettura 8 minuti

Tradurre un sito web, tra esperienza utente e performance

"Se vendo a te, parlo la tua lingua. Se io sto comprando, dann müssen Sie Deutsch sprechen" - Willy Brandt, Leader politico tedesco

Stai investendo tempo e denaro per un sito web che si adatti a una moltitudine di device diversi, che sia mobile friendly, anzi mobile first. Stai corazzando la piattaforma per prepararla alla natura flessibile del web in ogni modo possibile perché l'usabilità sia al primo posto.

Eppure, la tua ricerca di flessibilità e varietà - lodevole - spesso non fa i conti con una categoria particolare di utenti, i più bistrattati di tutti: quei poverini - perdonami il termine - che fruiscono della versione tradotta del tuo sito.

L'utente che naviga il sito tradotto nella sua lingua si trova spesso (anche se i casi virtuosi non mancano) in un universo parallelo surreale dove gli viene richiesta l'autorizzazione ai biscotti (cookie) e dove il normale fluire delle sue azioni sulla piattaforma è interrotto da momenti di frizione (altresì detti: di grasse risate) per la resa nella propria lingua dell'espressione originale.

Ecco perché la traduzione, la buona traduzione, è UX. La cattiva traduzione è, se siamo fortunati, un aneddoto da raccontare o un momento di ilarità. Se va male, è spaesamento, confusione, irritazione e abbandono.

 

Mi ha fatto molta tenerezza, ad esempio, la passione di questo sito e della sua live chat. Temendo che lo sentissi lontano mi rassicura che tornerà da me al più presto (posso immaginare che l'inglese fosse un più prosaico "We'll get back to you", cioè "Ti risponderemo"):


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Per un esempio più significativo attingo dal blog "Amo il web, non ricambiato", impagabile fonte di "casi studio" reali di aziende e agenzie web alle prese con la difficile arte della traduzione e non solo.

 

amo il web - lost in translescion

  

Mettiamocelo in testa: la traduzione di un sito riguarda a pieno titolo l'esperienza degli utenti e il successo delle nostre aziende. È ora di considerare anche la traduzione come un task fondamentale, non da affidare a Google Translate (per quanto lo strumento sia effettivamente diventato più bravo grazie al machine learning) o al collega che una volta alle medie ha studiato francese.

Non siete ancora convinti? Leggete  l'articolo che racconta la triste storia di un festival culinario galiziano che, essendosi affidato unicamente a Google Translate, si è pubblicizzato ai compatrioti di lingua castigliana come il "festival del clitoride".

 

UN MANIFESTO PER ADDETTI AI LAVORI, E NON SOLO

Questo è il punto del bel manifesto "Translation is UX" che una web designer e un traduttore hanno scritto e diffuso per sensibilizzare le coscienze degli addetti ai lavori, ma che è condivisibile da chiunque creda che la traduzione del proprio sito non sia da prendere sotto gamba.

I due scrivono (e siccome questo è un articolo sulla traduzione, sotto trovate la versione italiana):

UX designers know that creating a user experience implies tackling many different parameters—such as interfaces, copy and graphics—and having an eye for detail. However we regret that one of those parameters, which does have a major impact, is too often neglected: Translation.
Let's localise experiences, give all users equal consideration. Web and translation professionals, let's stick and work together. “Translation is UX!”

E cioè: i designer che si occupano di UX sanno bene che creare un'esperienza utente significa considerare diversi parametri, come le interfacce, il copy e gli aspetti grafici. E sono molto attenti a curarne i dettagli. Eppure è un peccato che uno di questi parametri, che di fatto ha un impatto significativo, sia troppo spesso trascurato: la traduzione.

Localizziamo le esperienze, diamo a tutti gli utenti la stessa attenzione. Professionisti del web e della traduzione, uniamoci e lavoriamo insieme. "La traduzione è UX!".

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LOCALIZZARE PER VINCERE

Vogliamo il sito multilingua per raggiungere la maggior parte degli utenti possibili? Benissimo. È un'ottima idea. Lasciando da parte ogni considerazione legata al dominio e alla SEO (per approfondire, questa check list tratta il tema dell'International SEO), ci sono alcuni fatti che dovremmo ricordare.

Ad esempio, che il 73% degli utenti internet non parla inglese.

 

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Fonte: Amo il web, non ricambiato

 

In più, l'inglese parlato dal restante 27% è tutt'altro che uniforme e condiviso. Per questo non basta tradurre, bisogna "localizzare".

 

Ecco un esempio culinario: i buonissimi pancake.

 

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Questo dolce, che colleghiamo automaticamente agli Stati Uniti, non si chiama così ovunque in tutto l'universo anglofono. Per esempio, in Inghilterra vengono chiamati “flapjack”, in Australia rimangono "pancake", in Sud Africa vengono comunemente chiamati “crèpe”, ma se parli di pancake all’americana, allora dovrai dire “flapjack” come gli inglesi. Per finire, nelle filippine dove l’inglese è di fatto la seconda lingua ufficiale, si chiamano “hotcakes”.

In questo esempio "banale" è reso evidente come una buona traduzione (cioè, una localizzazione) incida sulle vendite, sul marketing, sui contenuti.

  

La cultura, non solo la lingua, gioca qui un ruolo fondamentale: per aprirsi a nuovi mercati non basta un sito multilingua. Per vincere il cuore e la mente dei potenziali clienti, per dimostrare affidabilità e competenza, bisognerà fare lo sforzo (e probabilmente un congruo investimento) di mettersi nei loro panni.

 

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Fonte: Amo il web non ricambiato

 

NON SOLO PAROLE 

Parlando di cultura vale la pena di accennare a Geert Hofstede, il professore di antropologia e psicologia sociale olandese che, analizzando più di 100.000 dipendenti dell'IBM in vari Paesi del mondo, ha realizzato uno studio che compara le principali differenze culturali esistenti.

Le principali dimensioni individuate per valutare il fenomeno sono:

  • Distanza dal potere, ossia quanto è rigida la gerarchia sociale di una cultura;
  • Attitudine ad operare in condizioni di incertezza;
  • Orientamento all'individualismo o al collettivismo;
  • Mascolinità vs femminilità
  • Tendenza a identificare come orizzonte temporale il breve termine o il lungo termine.

 

Prendiamo il rifiuto dell’incertezza, ossia la capacità dell’individuo di far fronte agli imprevisti. Secondo questo esempio tratto da una presentazione al SearchLove London 2013 di Nathalie Nai, psicologa del web, i portoghesi sono un popolo che tendenzialmente non vive bene le situazioni di incertezza, al contrario dei flessibili ed adattabili svedesi.

Che cosa significa questo per un sito web? Che per un pubblico portoghese sarà importante:

  • Ridurre l'ambiguità del messaggio
  • Progettare una navigazione e una struttura molto chiare
  • Rafforzare gli elementi prevedibili e che rassicurano l'utente
  • Evitare pop up e informazioni non necessarie
  • Preferire un linguaggio e immagini espliciti

Se il nostro target è nordico, probabilmente le azioni da compiere saranno diverse:

  • Facilitare un dialogo aperto attraverso un linguaggio semplice
  • Permettere agli utenti di "correre maggiori rischi" nella navigazione
  • Aumentare la complessità e l'ampiezza delle azioni possibili
  • Permettere una navigazione più complessa

 

LINGUA, CULTURA &... PERFORMANCE

In tema di localizzazione, il sito web di Harrods è molto interessante per esplorarne un'altra sfaccettatura.

Il sito, che è anche un e-commerce, non è multilingua: non posso quindi fruire dei contenuti in lingua italiana.  Quello che posso fare, però, è fondamentale: ho la possibilità di segnalare il mio Paese di provenienza in modo da poter effettuare i miei acquisti nella valuta a cui sono abituata.

 

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Parlando di e-commerce esteri può spesso capitare di imbattersi in costi di spedizione poco chiari, tasse e dazi doganali inaspettati e non previsti che lasciano il cliente straniero con la spiacevole sensazione di non avere il totale controllo sulla transazione. Il rischio dell'abbandono del carrello è, così, molto alto, insieme a quello di ricevere recensioni negative e reclami.

Nel caso di Harrods, invece, la perfetta localizzazione del check out mi rassicura e conferma la mia scelta d'acquisto.

Ecco quindi che una corretta "traduzione" delle mie abitudini d'acquisto eleva la mia esperienza utente, ma anche le performance dell'e-commerce stesso.

 

Per concludere, se hai in mente di guardare ad altri mercati non tralasciare di avvalerti di un buon servizio di traduzioni e di consultare eventualmente clienti o partner che vivono nel mercato a cui ti stai aprendo per validare anche culturalmente la traduzione.

Infine, considera la traduzione un importante fattore per l'esperienza utente, affidandoti a un partner che sappia interpretare i suoi bisogni attraverso tutte le variabili in gioco, dalla navigazione all'interfaccia, dal messaggio alle interazioni fino al carrello del tuo e-commerce.