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3 giugno, 2019

Cosa ho imparato da Tyrion Lannister su Storytelling e Leadership

Costanza Albè

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Lettura 7 minuti

 

Un brand senza una storia non ha futuro e “lasciare scegliere gli utenti” no, non è una buona idea


L’ultima puntata dell’ultima stagione di Game of Thrones non ha lasciato indifferenti, nel bene o nel male. Ma sia che abbia soddisfatto o meno la nostra immaginazione, quel che è certo è che ospita un discorso cristallino sullo storytelling. E non c’è bisogno di essere fan o esperti del trono di spade per apprezzarne le sfaccettature.
 

In breve, ecco cosa è successo. Il discorso è pronunciato da uno dei personaggi dall’intelligenza più fine della serie, Tyrion Lannister, interpretato dal pluripremiato attore Peter Dinklage. Nella scena, i signori e le signore della terra immaginaria di Westeros (i sopravvissuti, diciamo...) devono trovare un nuovo sovrano che comandi i Sette Regni.

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Tyrion sorprende tutti argomentando a favore di un personaggio di nome Bran Stark.
Secondo Tyrion, Bran possiede un dono e un potere speciale, che lo renderebbe adatto a essere un grande sovrano: è il custode di tutte storie del regno.

Cosa unisce le persone?

Ecco il suo discorso:

What unites people? Armies? Gold? Flags?” 

"Stories."

There's nothing in the world more powerful than a good story. Nothing can stop it. No enemy can defeat it. And who has a better story than Bran the Broken? The boy who fell from a high tower and lived. 
(…)
He's our memory. The keeper of all our stories. The wars, weddings, births, massacres, famines, our triumphs, our defeats, our past. Who better to lead us into the future?

(Cosa unisce le persone? Eserciti, oro, bandiere?

Le storie.

Non c'è niente di più potente al mondo di una buona storia. Niente può fermarla. Nessun nemico può sconfiggerla. E chi ha una storia migliore di Bran lo Spezzato? Il ragazzo che cadde da una torre e visse. [...] Lui è la nostra memoria. Il custode di tutte le nostre storie. Le guerre, i matrimoni, le nascite, i massacri, le carestie, i nostri trionfi, le nostre sconfitte, il nostro passato. Chi meglio ci condurrà verso il futuro?)

I Sette Regni non esistono nella realtà, ma l'appello di Tyrion è storicamente accurato. I bravi condottieri sono sempre stati bravi narratori, bravi storyteller diremmo oggi. Così i capoclan, i generali, i re, i presidenti, gli amministratori delegati. Dal De Bello Gallico di Cesare ai keynote di Steve Jobs, chi tiene le redini della narrazione è in una posizione di forza.

E mentre gli strumenti di comunicazione sono cambiati, il cervello umano no. Siamo una specie di narratori.

Nel mondo aziendale, i narratori mantengono viva la storia del brand e la storia “intorno” al brand: non solo come è nata un’azienda, come tutto ha avuto inizio, ma anche la narrazione che scaturisce dall’identità stessa del brand e che confluisce in tutte le sue manifestazioni: dalla brochure alla sede operativa, dal sito web agli addetti del customer care, dalla newsletter interna alla fiera internazionale.

Raccontare una bella storia, una storia “vera” (che risuona, cioè, nel cuore di chi la ascolta) è uno strumento di unità e di leadership, sia interna che esterna. Motiva e unisce i dipendenti, attira e convince prospect e clienti. Perché parla a quella parte del cervello dove hanno sede i sentimenti, che guarda caso è la stessa in cui avvengono le decisioni.

 

Branding e biologia: la gente compra perché lo fai, non cosa fai

C’è un “esercizio” di branding che proponiamo spesso ai nostri clienti e che si chiama "Golden Circle". Ideato da Simon Sinek, è meravigliosamente illustrato in questo TED talk (il terzo più visto di sempre, e a ragione):

 
Un esercizio apparentemente semplicissimo, ma potente per allineare il team e per dare al management la chiarezza e lo strumento per raccontare ai clienti, interni ed esterni, una storia veramente forte.

La premessa di Sinek è fondamentalmente questa: devi sapere perché esisti come brand, e parlare di questo

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Quando un'azienda ha una forte motivazione, ha una forte credenza, e questa traspare e viene raccontata, i clienti acquistano il prodotto.
"People buy why you do it, not what you do”, ripete Sinek. Le persone vogliono sentire e credere in una storia, non sono mosse nel profondo dalle specifiche tecniche del tuo prodotto. 

L’esempio di Sinek è forse abusato ma tremendamente efficace: Apple. 

La comunicazione e il marketing di Apple non ci hanno mai raccontato che il Mac Air ha un processore interno migliore di quello di un computer HP. E neanche che un iPad è più facile da usare di un tablet basato su Android. Apple ci racconta un’altra storia: qualsiasi cosa noi facciamo (un iPad, un Mac, un HomePod, un’iPod - ok forse un iPod no…), lo facciamo perché crediamo nel valore di sfidare lo status quo. Crediamo che le persone veramente appassionate, i geni, i ribelli, i folli possano cambiare il mondo. E che chi è abbastanza pazzo di pensare di poterlo fare, è chi lo farà davvero. Per questo diciamo: Think different.

Ecco perché scegliamo Apple. Ecco perché Sinek parla dell’importanza di cominciare dal "perché" e non dal “cosa”.


Brand sprint
Lo scrittore sostiene che il suo approccio sia non solo psicologicamente, ma anche biologicamente fondato.

Il “Cosa” e il “Come” del Golden Circle sono collocati da Sinek in quella parte della nostra corteccia cerebrale che è razionale e analitica, la neocorteccia, dove ha anche sede il linguaggio.

Il “Perché", invece, è collegato al sistema limbico, responsabile dei sentimenti, come la lealtà e la fiducia, ma anche dei comportamenti e delle scelte. Non si muovono le persone con dati e statistiche. I comportamenti si cambiano grazie alle storie che raccontano “perché”.


Siamo leader di mercato. O no

Simon Sinek, nel suo Golden Circle, ci racconta che la leadership non la si acquisisce convincendo i clienti sul terreno dei dati, dei grafici e delle metriche, ma andando a parlare a quella parte di cervello dove hanno sede le emozioni e il comportamento. E non è nello stesso luogo dove attecchiscono i fatti (per quanto veri essi siano).

Lo zio Edmure Tully, il vero leader di mercato

Tornando alla fatidica puntata andata in onda domenica 19 maggio, c’è un personaggio che ispira naturalmente la nostra compassione: è il povero Edmure Tully (alzi la mano chi si ricordava di lui) che, gonfio della sua esperienza, al momento di decidere il futuro regnante si alza in piedi e inizia a sciorinare una serie di fatti e numeri che dovrebbero parlare a suo favore.

L’effetto è più o meno questo: “Ho una grande esperienza nel governare, sono giovane e dinamico, sono leader di mercato”. Viene cortesemente invitato a sedersi per evitare di peggiorare la sua situazione.

A costo di essere didascalici: NO. Dire di essere leader di mercato, un’azienda giovane e dinamica, magari addirittura fondata su innovazione e tradizione, non funziona. Non cambia le abitudini, non muove il cuore e neanche il cervello, figuriamoci il portafogli.

Le storie vere funzionano, quelle in cui le persone possono riconoscersi.

 

Abbiamo bisogno che gli altri ci dicano chi siamo?

Per non farci mancare nulla, assistiamo anche a un tentativo rivoluzionario di percorrere la via democratica per i Sette Regni: perché non lasciamo che sia il popolo a decidere, invece di scegliere a tavolino un re? Il rischio di scadere in un anacronismo politically correct è stato scongiurato dagli sceneggiatori, evitando di cadere nella banalità (grazie).


Fuor di metafora: chiedere agli utenti/clienti/dipendenti cosa vogliono è una cosa bellissima*, ma senza una visione chiara, senza una storia forte, non si va da nessuna parte.

La citazione di Henry Ford è d'obbligo:

Se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto: “un cavallo più veloce”.

*nota molto bene: ci occupiamo ogni giorno di User Experience Design e di CRO: sapere cosa vogliono gli utenti è veramente bellissimo, oltre che fondamentale.
 
Quindi, quando il prossimo Samuel Tarly verrà a raccontarvi che lo User Generated Content è una strategia, abbiate il coraggio di rispondergli anche voi con la faccia di Arya: 

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The end


Bran sarà un buon re per i Sette - pardon, Sei Regni? Non lo sappiamo.

Sappiamo solo che le Lady e i Lord di Westeros hanno affidato il loro futuro a quell'unica cosa capace di cementare lealtà e fedeltà, di far compiere delle scelte coraggiose, di muovere le motivazioni più profonde: una buona storia.


Che sia il caso di ripensare la nostra?

 

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