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7 febbraio, 2022

Cos'è il Brand Sprint: il metodo (veloce) che dà concretezza al brand

Costanza Albè

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Il Brand Sprint è un workshop di poche ore pensato per rendere concreta l'idea astratta del "brand” e poi prendere decisioni migliori e condivise. 

È un metodo rapido, senza fronzoli e che crea le fondamenta condivise per tutte le decisioni piccole e grandi che deriveranno dall’identità di marca.

È il fratello minore del più famoso Design Sprint, metodo forgiato nelle fucine di Google Venture che aiuta a esplorare, prototipare e testare idee imprenditoriali o funzionalità strategiche di un prodotto in soli 4/5 giorni.

In Sinfonialab abbiamo abbracciato questo metodo, ma lo abbiamo anche adattato alla realtà delle aziende che incontriamo e agli obiettivi che vogliamo portare a casa con questi momenti di lavoro spalla a spalla con i nostri clienti.

In questo post ti racconto la nostra versione del Brand Sprint, limato dopo 13 workshop con altrettanti clienti (compresi noi stessi 😉):

 

Il Brand Sprint in breve

Dopo una serie di esercizi di branding guidati da un facilitatore, il team dell'organizzazione coinvolta ottiene un linguaggio comune per descrivere il proprio brand: 

  • Cosa facciamo, come e perché?
  • Dove stiamo andando? Quali grandi cambiamenti ci immaginiamo per il nostro futuro prossimo e remoto?
  • In base a quali valori prenderemo le nostre decisioni?
  • A quale pubblico ci rivolgiamo?
  • Quale personalità abbiamo?
  • Come ci collochiamo nello scenario competitivo?

Rispondendo insieme a queste domande, tutte le successive decisioni su naming, aspetti visuali, tone of voice, identità e così via diventeranno più facili: viene creato un punto di partenza solido e condiviso (un “cheat sheet” da tenersi sotto mano), utile per fare altro (un nuovo piano di comunicazione, una nuova campagna, un nuovo naming, …). 

È un punto di partenza, non un punto di arrivo.

E quindi… branding, partenza, via!

(ecco come appare la nostra lavagna al termine di un Brand Sprint condotto dal vivo)

 

Quando fare un Brand Sprint?

La prima regola del Brand Sprint è che non se ne parla, se non quando ce n'è davvero bisogno. Non solo perché - come ogni workshop - richiede persone, tempo, risorse, ma anche perché tocca delle corde strategiche che vanno mosse solo quando necessario. In più, se non pensiamo di utilizzare subito i risultati del workshop per qualcosa di concreto, questi potrebbero non essere più aggiornati e utili una volta ripresi in mano. 

C’è bisogno di un “trigger” che lo renda necessario:

  • La nascita di un nuovo brand, quando tutto sta prendendo forma;
  • Il brand è a un crocevia: è il momento di cambiare (perché è cambiato il prodotto, è cambiato il mondo, è cambiata l’esperienza) ma da che parte andiamo?
  • Un nuovo naming;
  • Un nuovo logo;
  • Un nuovo manifesto;
  • Un nuovo piano di comunicazione o marketing.

 

Come funziona: il metodo

Il facilitatore che conduce il gruppo proporrà il metodo che possiamo chiamare “lavorare insieme, da soli”. Cosa significa? Che ognuno avrà il tempo di pensare individualmente alla propria risposta, annotando i suoi pensieri e utilizzando quando serve dei post-it.

Quindi il facilitatore guiderà la discussione di gruppo, valorizzando il contributo di ognuno. In questo modo si evita il rischio del classico brainstorming a ruota libera: poco tempo per riflettere davvero e poca voce a chi è più timido o semplicemente non è al vertice della gerarchia aziendale.

Ma non finisce qui: perché funzioni bisogna prendere delle decisioni, non solo ascoltare tutti i contributi. Si useranno allora delle metodologie di voto per evidenziare le strade preferite dal gruppo. Occorre però precisare (e farlo all’inizio, perché sia chiaro a tutti) che non si tratta di un processo democratico: deve essere scelto un decisore (il CEO o chi ne fa le veci: l’importante è che possa parlare per l’azienda) che avrà un “super-voto”, capace anche di ribaltare la decisione della maggioranza.

 

La tua nuova brand identity, percorso per aziende

 

Cosa ti serve (dal vivo)

  • Spazio sui muri per scrivere (lavagne a muro, fogli di carta appesi o magic whiteboard);
  • Post-it di almeno 3 colori;
  • Pennarelli fini e pennarelli grossi per l’eventuale lavagna;
  • Fogli per appunti per tutti;
  • Eventuale template da stampare per l'esercizio sulla personalità del brand;
  • Un timer per segnare il tempo destinato a ogni esercizio;
  • Acqua e snack per le pause.

 

Cosa ti serve (da remoto)

  • Una lavagna virtuale condivisa (come Miro o Mural);
  • I partecipanti devono poter accedere da computer e non da smartphone (fidati, ci abbiamo provato);
  • Serve un po’ di cura per preparare la lavagna in modo da avere pronto quello che, dal vivo, avremmo scritto al momento su dei fogli di carta;
  • Serve anche preparare l’onboarding dei partecipanti: Miro e Mural sono strumenti estremamente facili che riproducono l’esperienza di un workshop dal vivo con la possibilità di scrivere e appendere post-it colorati, ma se non li si è mai usati serve un minimo di esercizio. Di solito basta fare un po’ di riscaldamento iniziale con un gioco o alcuni task molto semplici.

golden circle su MIRO

 

La struttura: gli esercizi del Brand Sprint

1. Il golden circle

Il Golden Circle è un esercizio preso in prestito da Simon Sinek, ed è illustrato in questo stupendo TED talk (il terzo più visto di sempre, e a ragione).

Un esercizio solo in apparenza semplicissimo, ma potente per allineare il team e per darci la chiarezza per raccontare ai clienti, interni ed esterni, una storia veramente forte.

La premessa di Sinek è questa: devi sapere perché esisti come brand, e parlare di questo. 

Quando un'azienda ha una forte motivazione, ha una forte credenza, e questa traspare e viene raccontata, i clienti acquistano il prodotto.

"People buy why you do it, not what you do”, ripete Sinek. Le persone vogliono sentire e credere in una storia, non sono mosse nel profondo dalle specifiche tecniche del tuo prodotto. 

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(Questo è il Golden Circle creato da AIM Energy, punto di partenza di un percorso più ampio che ha portato alla revisione del piano di comunicazione e della brand identity)

Lo scrittore sostiene che il suo approccio sia non solo psicologicamente, ma anche biologicamente fondato. Il “Cosa” e il “Come” del Golden Circle sono collocati da Sinek in quella parte della nostra corteccia cerebrale che è razionale e analitica, la neocorteccia, dove ha anche sede il linguaggio.

Il “Perché", invece, è collegato al sistema limbico, responsabile dei sentimenti, come la lealtà e la fiducia, ma anche dei comportamenti e delle scelte. Non si muovono le persone con dati e statistiche. I comportamenti si cambiano grazie alle storie che raccontano “perché”.

2. La roadmap dei prossimi 20 anni

Dove pensiamo di essere tra 5, 10 o 20 anni?

Non si tratta di un vero e proprio gantt o pianificazione, ma di condividere un orizzonte di massima. Pensiamo che tra 5 anni saremo un brand distribuito anche in altri Paesi oltre all’Italia? Non è scritto nella roccia, ma definire che questa è la prospettiva condivisa permette di orientarsi su un naming e su un logo che sia spendibile anche su un mercato internazionale.

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Ipotizziamo che tra 10 anni non distribuiremo solo il prodotto x, ma anche un’intera altra gamma di prodotti e servizi? Anche questa prospettiva incide sulle scelte a breve termine: ad esempio, potremo scegliere di non usare come nome di dominio del nuovo sito quel singolo prodotto che stiamo distribuendo oggi, ma di riferirci alla sua gamma.

 

3. I valori

Spesso questo esercizio è un po’ sottovalutato, come se i valori del brand fossero destinati a quella paginetta triste del sito web in cui bisogna proprio scriverli.

Non parliamo di questo: parliamo dei criteri in base a cui prenderai una decisione sul brand. E parliamo anche di ridurli a 3 e di ordinarli per priorità. Questo rende tutto molto più concreto.

Se, ad esempio, desidero che al mio brand venga associato il valore della semplicità, questo sarà il mio “faro” nelle scelte che seguiranno. Non solo la semplicità dovrebbe trasparire nelle scelte visuali, ma anche tradursi nell’esperienza di acquisto all'interno dell’eventuale e-commerce, in un linguaggio chiaro e piano, in un’assistenza clienti facilmente raggiungibile ed efficace. 

 

4. L’audience

A chi parla il tuo brand? Certo, ai tuoi clienti. Ma potrebbe essere utile specificare delle altre audience interessate a quello che dici (la stampa? le istituzioni? certi influencer? …).

Anche in questo caso è importante il lavoro di sintesi: arrivare a definire 3 audience e metterle in ordine di “importanza”. Anche da questa scelta discendono decisioni molto concrete: siamo sicuri che sia una buona idea spendere metà del budget di marketing in quell'attività che si rivolge a un'audience che non rientra neanche nella top 3?

 

5. La personalità

Se il tuo brand fosse una persona, che tipo sarebbe? La personalità del brand può essere individuata chiedendo ai partecipanti al workshop di scegliere dove posizionare il brand tra 2 estremi, come:

  • Elitario o di massa
  • Serio o giocoso
  • Convenzionale o ribelle
  • Maturo e classico o giovane e innovativo
  • Autorevole o amichevole

Attenzione: è importante ricordare che gli aggettivi di sinistra (serio, elitario, convenzionale, maturo e autorevole) non hanno una connotazione negativa. Lo sottolineo perché spesso ho notato reticenza da parte dei gruppi nell'ammettere che il proprio brand non avesse una personalità ribelle, innovativa o amichevole. Questo non vuol dire che il prodotto in sè non sia innovativo o che l'azienda non sia luogo estremamente amichevole in cui lavorare. Significa che il brand possiede questi specifici, che hanno lo scopo di renderlo unico e riconoscibile. Facciamo un esempio: Tesla è certamente ribelle, ma anche estremamente seria, autorevole ed elitaria: è proprio la combinazione di questi tratti a differenziarla.

Dopo il lavoro individuale, sarà compito del facilitatore raccogliere i contributi e delineare un'unica personalità condivisa. Anche questa scelta è fondamentale nel forgiare la voce del brand nonché tutti gli elementi visuali che lo accompagneranno.

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(Lo screenshot qui sopra è tratto da un workshop che abbiamo tenuto online utilizzando Miro)

 

6. Il panorama competitivo

Dove ci collochiamo, in termini di personalità, nel nostro mercato? Non è necessario un’analisi competitiva approfondita (che probabilmente avremo già fatto) o un benchmark di 50 pagine.

Per lo scopo dell’esercizio è sufficiente che si riescano a collocare nei quadranti i principali competitor e quindi noi stessi. È la prova del nove: siamo nello stesso quadrante di tutti gli altri? Ci stiamo distinguendo? 

competitive scenario

(la foto sopra è tratta dal post su Medium in cui Jake Knapp racconta per la prima volta del Brand Sprint, scendendo nel dettaglio di ogni esercizio. La stella rappresenta il nostro brand)

 

Lesson learned: dopo 13 Brand Sprint abbiamo imparato…

  • Ogni situazione è unica: il metodo è utile se viene seguito, ma non è fine a sé stesso. Ascoltare, osservare, leggere la situazione e il contesto è fondamentale. Potrebbe essere necessario fare aggiustamenti, derogare ad alcune regole o, addirittura, avere il coraggio di annullare il workshop fino a data da destinarsi se le condizioni non lo rendono possibile ed efficace;

  • Concordare le regole del gioco: anche in caso di deroghe e adattamenti del metodo, è bene concordare prima cosa succederà, chi parteciperà, per quanto tempo, quale sarà l’output e cosa succederà dopo. Non è bene lasciare al caso le aspettative dei partecipanti. Se qualcosa non collima con le aspettative, parlarne prima è molto meno doloroso che scoprirlo alla fine.

  • Quante persone coinvolgere: lato cliente coinvolgiamo tra le 2 e 6 persone, a cui aggiungiamo eventualmente 1 o 2 risorse esterne all'azienda (nel nostro caso, parte del nostro team) per “scombussolare” le carte, non dare per scontato niente, pungolare con un punto di vista esterno;

  • Chi coinvolgere: risorse dai reparti comunicazione, vendite, customer care, marketing che possano portare un effettivo contributo anche a livello strategico (non è il momento di coinvolgere il nuovo stagista del reparto marketing perché il marketing manager non ha tempo. È esattamente il tipo di attività che deve vedere coinvolti anche i livelli manageriali);

  • I facilitatori hanno il compito di guidare e “facilitare” il processo senza suggerire risposte, ma allo stesso tempo abbiamo sperimentato che è bene che siano calati nel mercato e nel contesto aziendale abbastanza da capire quando la discussione sta deragliando o sta tralasciando parti significative.
  • Ci deve essere qualcuno che può prendere delle decisioni. Può essere il CEO o un suo delegato, ma deve esserci un decisore il cui punto di vista non sia messo in discussione da un livello più alto appena finito il workshop. Se questo non è possibile, facciamo altro. Proponiamo altre attività di branding ma non facciamo un Brand Sprint. Rischiamo di far perdere una mattina di lavoro a parecchie persone per produrre qualcosa che dovrà essere cambiato.

  • Le 3 ore ipotizzate dagli inventori del metodo sono utopistiche nella nostra esperienza. Il nostro consiglio è di pianificare almeno 5 o 6 ore prevedendo tra gli esercizi 2 pause (meglio non la pausa pranzo per non disperdere l’attenzione, ma non sottovalutiamo in ogni caso l’importanza di alzarsi, mangiare e bere qualcosa, aprire le finestre: non vogliamo che gli ultimi esercizi siano svolti di fretta e con la testa al piatto di pastasciutta);

  • Spiegare con cura gli esercizi, portando degli esempi. Benissimo citare i classici casi di Apple e Nike, ma cercare analogie più vicine all’azienda di riferimento sarà certamente più utile;

  • No device: chiedere alle persone di non guardare il telefono e di prendere appunti solo su carta è davvero utile. Se scorgi impazienza tra i partecipanti, ricorda loro che durante le 2 pause potranno recuperare mail e chiamate);

  • Il Golden Circle per primo: nella versione proposta da Google Venture il Golden Circle è proposto dopo la roadmap, come secondo esercizio. Abbiamo trovato che cambiare il loro ordine sia utile per aiutare il team a entrare subito nel cuore dello Sprint e a chiarire elementi che saranno utili anche per completare la roadmap stessa.

 

 

E adesso?

Adesso hai in mano una mini guida al brand. Non lasciarla nel cassetto (so che non lo farai dato che ti serve urgentemente per fare qualcos’altro 😉). 

Fai in modo che possa essere consultata facilmente (volendo i risultati si stampano su un foglio A4) e condividila anche con chi non lavora strettamente sul brand (la condivisione stessa può essere l’occasione di un secondo workshop allargato che racconti la nuova direzione e allinei tutti facendo emergere divergenze, incomprensioni e curiosità. Sicuramente più efficace di una mail uguale per tutti).

esempio template brand sprint

(i risultati del Brand Sprint posso facilmente essere riassunti e contenuti in un foglio A4)

Potrebbe esserti utile la prossima volta che devi affidarti a un’agenzia e vuoi che il brief sia completo (mi permetto di parlare a nome di tutto le agenzie, un Brand Sprint fatto bene è oro colato per lavorare con profitto, strategia e direzione con un nuovo cliente).

Ma potrebbe servirti anche nel tuo processo di onboarding di nuove risorse: è un modo rapido per portare a bordo e allineare i nuovi colleghi.

E, soprattutto, usa subito i risultati del Brand Sprint per fare del tuo brand qualcosa di unico e meraviglioso!

 

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