6 giugno, 2017

Gli 11 modi + 1 per imparare a vendere come leoni

Luca Bassanello

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Lettura 8 minuti

Ho avuto la fortuna di far parte del gruppo Italy C 227 del “Pipeline Generation Boot Camp” di HubSpot, una sorta di scuola di sopravvivenza commerciale per generare più business: in poche parole, come imparare a vendere.
Eravamo 8 umani italiani e 2 macchine da guerra, Adib Mouchanan, referente commerciale HubSpot per l’Italia, e Daniel “Dan" Tyre, Sales Machine di HubSpot, uno dei primissimi collaboratori dell’azienda agli albori (dipendente n. 6) nonché primo commerciale in assoluto.
In un ciclo di lezioni e compiti per casa di 8 settimane, ho imparato (o riportato alla luce) molte cose che mi confermano ciò che sapevo: mi piace aiutare le aziende clienti e farmi pagare per questo (vendere? Chiamiamolo vendere). 
 
Ho imparato davvero molte cose, e molte altre ne imparerò continuando a fare esercizio. Tra queste, ci sono 11+1 segreti che voglio condividere. Alcuni sono per tutti, altri (quelli con l'asterisco) solo per le agenzie Inbound.  
 
 

1) selling is human - vendere è un rapporto tra umani

Qualunque sia la tua azienda - un B2C spinto dove l’acquisto è personale, istintivo ed emozionale, oppure un B2B che si rivolge a clienti super strutturati dove qualsiasi acquisto passa per mille autorizzazioni e documenti - vendere è un processo che avviene sempre tra persone. Non esiste, ancora, una modalità di vendita che non preveda l’interazione di un acquirente con un venditore. Se, nel caso degli e-commerce, il lato “venditore” può essere parzialmente sostituito da un processo digitale, nel caso del B2B questo è molto più difficile, quindi paradossalmente è nel B2B che il processo di acquisto continua a essere soprattutto umano
Questo cosa significa? 
Che il nostro essere umani, ciascuno con le proprie caratteristiche personali, le proprie passioni, le proprie esperienze, le proprie difficoltà, fa di noi strumenti perfetti per entrare in relazione con altre persone che hanno le stesse soggettive differenze. Il nostro lavoro è aiutare gli uomini e le donne delle aziende clienti a raggiungere i propri obiettivi. In ultima analisi, forse, aiutiamo altre persone a essere più felici. 
Come possiamo iniziare? L’ascolto è un buon punto di partenza
 

2) c’è un cliente ideale

"Il Cliente Ideale" forse non esiste, ma NON porsi il problema di chi siano la nostra azienda target e il nostro referente target è stupido come pensare di andare in viaggio senza sapere dove si andrà e per quanti giorni. 
Esiste una “fit matrix” grazie alla quale identificare le imprese clienti che hanno quel determinato mix di settore produttivo, numero di dipendenti, numero di commerciali, fatturato, utile, investimenti in marketing, etc. che si adatta il più esattamente possibile al modello di business della nostra azienda e può beneficiare il più possibile del nostro modo di fare lead generation. D’altra parte, questo loro beneficio si traduce in un nostro guadagno, quindi tutti vincono. 
 

3) give and get - dai quello che vuoi

La partita del rapporto commerciale si gioca in una logica di give and get, secondo il principio della reciprocità di Cialdini. Senz’altro il punto di partenza è il dare: aiuto, informazioni, consigli, formazione, strumenti. Quando siamo sicuri di aver dato aiuto a un potenziale cliente, allora possiamo iniziare a chiedergli qualcosa, quel tanto che, in proporzione al nostro give, sarà disposto a darci. Ad esempio, un po' del suo tempo. 
 

4) always be helpful - essere sempre d'aiuto

Di tutti i concetti, forse questo è l’elemento centrale di tutto il Boot Camp. Sii sempre d’aiuto. In molte occasioni, nella mia vita aziendale, mi sono sentito in difficoltà nel tentare un approccio commerciale con una nuova azienda, perché avevo la sensazione di vendere qualcosa che dall’altra parte non era desiderato, necessario o gradito. 
“Always be helpful” modifica tutto: se l’intento di base è quello di portare aiuto a un’azienda e a un suo referente, in modo da poterli spingere a essere un po’ più vicini ai loro obiettivi, non si tratta più di vendere, ma di trovare i migliori contenuti e/o strumenti e/o modi da rendere loro disponibili per aiutarli
Il mind set di partenza cambia completamente, è una sorta di rivoluzione copernicana della vendita. Nel modello tradizionale di vendita l’intento del venditore è quello di spiegare i vantaggi del proprio prodotto e trovare il modo di convincere il potenziale cliente a firmare un contratto. Nel modello “Inbound alla HubSpot” il driver motivazionale di chi, come me, ha un ruolo commerciale è di portare aiuto in qualche modo al proprio potenziale cliente, prima ancora di iniziare a parlare di prodotti o costi. 
 

5) connect call mood - telefonare in relax

Il mio maestro di musica diceva sempre che esercitarsi a suonare serve a suonare in totale relax. Se non suoni in totale relax, l’unica cosa che comunichi al pubblico è la tua ansia. 
Lo stesso dicasi per la connect call, ovvero la prima chiamata verso un nuovo lead: farne molte come esercizio aiuta a trovare la propria modalità di entrare in relazione con i prospect e attraversare in relax le varie fasi di una chiamata.
Chiamare con ansia, comunica ansia. Chiamare in relax comunica accoglienza e simpatia anche dall’altro lato della cornetta dove, ricordiamolo, posa il proprio orecchio un essere umano che ne ha a sufficienza, di ansia, per non caricarsi della nostra. 
Non che sia semplice. 
Quindi: jump on the phone!
 

6) research on contact - raccogliere informazioni prima di chiamare qualcuno

La “warm call” - ovvero la nemesi della chiamata a freddo - prevede un lavoro di ricerca sul nostro potenziale cliente. In 3 minuti circa dal sito, da LinkedIn o da Facebook, possiamo ricavare una mole notevole di informazioni da usare per rendere una telefonata (altrimenti asettica) una bella occasione per fare una conversazione calda, accogliente, umana. La ricerca va fatta. 
Nota di colore: in una delle mie chiamate di esercizio, mi sono trovato completamente spiazzato dall’avere al telefono il mio interlocutore ancora prima di aver pensato di fare la ricerca. Semplicemente, nella foga di telefonare, ho fatto il numero senza fare ricerca. 
Mi ha salvato Facebook, proponendomi un’amicizia comune, che ho subito usato come argomento di discussione sperando che potesse aprirmi una conversazione. Così, fortunatamente, è stato. 
 

7) helping the customer it’s not about you - aiutare il cliente non significa parlargli di te

Non c’è molto da aggiungere. Quando vogliamo aiutare i nostri clienti, abbiamo un compito che sta sopra tutti gli altri compiti. Ascoltare
Ma la fretta, l’ansia, la paura o l’abitudine ci fanno scivolare verso le nostre vacue value proposition, quelle che abbiamo imparato a memoria negli anni e che spesso non dicono nulla nemmeno a noi. Su questo punto bisogna tenere la barra del timone ferma: aiutare il cliente non c’entra nulla con lo “spiegone” sull’Inbound Marketing, su HubSpot o, peggio, su di noi e la nostra agenzia. Dobbiamo capire i clienti, analizzarne i numeri, entrare nei loro processi per poterli aiutare. Ascoltare. 

 
 

8) sorridi, respira, aspetta >> divertirsi chiamando

Una slide del duo Dan/Adib aveva il titolo “sorridi, respira, aspetta”. Quando chiami, la fretta di far succedere qualcosa ti porta a riempire gli spazi lasciati vuoti dal cliente, impedendogli di potersi aprire spontaneamente e di raccontare i propri problemi o i propri obiettivi. "Sorridi, respira, aspetta" è un consiglio prezioso per resettare il cervello e mettersi nella giusta predisposizione d’animo per fare ciò che con il cliente va fatto. Aiutarlo a risolvere i suoi, di problemi. 
 

9) we are lead generation agencies >> posizionarsi a fianco del cliente*

Parafrasando il buon René Ferretti in Boris, a noi la comunicazione c’ha rotto il cazzo. 
[Scherzo. Io adoro la buona comunicazione. Quando vedo una buona idea comunicativa sbavo come un pitbull di fronte ad una preda insanguinata]
Ma ai nostri prospect non interessa chi siamo noi e se facciamo ottima comunicazione o un grandissimo marketing, ma solo se possiamo aiutarli a risolvere i loro problemi. E i loro problemi di solito sono di 3 tipi: 
  • vendere di più
  • vendere meglio
  • far sì che gli investimenti in comunicazione portino a qualche tipo di risultato concreto.
Perciò, presentarsi come azienda che aiuta le altre aziende a trovare nuovi clienti e a far crescere il fatturato è decisamente un punto di partenza migliore (vedi anche l'articolo su come scegliere un'agenzia Inbound).
  

10) I don’t care, still want to help - sorpassa le obiezioni con l’intento di aiutare

Questo è il grido di battaglia di Dan. I nostri prospect possono porre qualsiasi obiezione, ma se abbiamo chiaro in testa l’obiettivo di aiutarle, supereremo gli ostacoli. Che non abbiano budget, che lavorino con altre agenzie, che non abbiano mai lavorato con un’agenzia, che gli siamo antipatici o indigesti, nulla ci deve fermare: ci sarà sempre un modo per risultare loro utili. E se proprio non ci fosse o non ci venisse in mente, non ce ne preoccupiamo, perché continuiamo a voler essere d’aiuto. Come muli testardi che vogliono attraversare il fiume, vogliamo essere d’aiuto al nostro potenziale cliente. 
 

11) Incontro esplorativo >> parla di business*

E quando finalmente ti siedi davanti all’imprenditore potenziale cliente, o al suo responsabile vendite o marketing, non tirare fuori la tua brochure, ma parla del suo business. Chiedigli come fa a vendere, quanti commerciali ha, in quanto tempo si chiude una vendita, quanto spende per le fiere, quanto gli costa acquisire un cliente, quanto gli rende un cliente. 
Cioè, parla di business. 
Non di comunicazione, o marketing, o web marketing, o automation. Niet. 
Perché parlare di business ti mette dalla sua parte, dalla parte di chi vede la comunicazione e il marketing soltanto come mezzi, e non come fini. Per noi vendere 30k di strategie digitali è un fine, per i nostri clienti è un mezzo per portare risultati al loro business. Se vogliamo capirli, è dalla loro parte del tavolo che dobbiamo sedere. 
 
Tutto questo sarebbe già sufficiente a cambiare il modo in cui un umano si pone di fronte alla vendita. Ma c’è un dodicesimo punto che ha reso il Boot Camp quello che è stato. E che non c’entra nulla con tecniche, domande strategiche, esercizio. Ma con chi siamo noi. Per questo, è il punto 11+1, ovvero qualcosa in più, di non scontato né compreso in quanto detto sopra, ma assolutamente primario rispetto a tutto il resto!
 
imparare-a-vendere

 

11+1) Lions >> Leoni*

Dan non si stanca mai di mandarci immagini di leoni. Ha saccheggiato l’archivio fotografico della savana africana, per avere tutte queste immagini di leoni. 
Devo dire che questa cosa - che in un certo senso mi sembra davvero poco italiana (parafrasando, stavolta, Stanis di Boris) - la capisco quando mi metto a guardare il mio lavoro con lo sguardo di un anno e rotti fa. 
Mi scontro con agenzie più grandi della mia - e questo fa bene. Ma soprattutto mi scontro con agenzie più piccole della mia, alle volte unipersonali. Il cugino che ti rifà il sito, ad esempio. 
E mi sono domandato spesso: ma porcaccia la miseriaccia, possibile che siamo così deboli da rischiare di essere confusi col cugino?
La risposta è no, non è possibile. Perché quando sei un partner che, assieme al cliente, aumenta il valore del suo business, il cugino non c’entra più nulla. E da coniglio, diventi leone. Da preda, predatore. Da miagolio, a ruggito. 
Siamo leoni non perché dobbiamo essere aggressivi, ma perché abbiamo finalmente le unghie e le zanne per attaccarci al collo della preda. E la preda non sono i nostri clienti, ma i clienti dei nostri clienti.
Eh già, perché il sangue scorre lì. 
[P.S.: mai portate a casa così tante opportunità come in questo periodo!]
 
Grazie Dan, grazie Adib
E grazie ai compagni di viaggio con i quali abbiamo esplorato i selvaggi boschi del Pipeline Generation Boot Camp. 
 
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